Di cosa si occupa la finanza comportamentale
Il concetto di finanza comportamentale è davvero molto recente ed è stato definito con precisione solo nel corso dell’ultimo ventennio: tuttavia negli ultimi anni sono stati molti gli studi, sia di analisi sociale del comportamento che di psicanalisi e di economia, che si sono occupati di questo tema.
Cos’è la finanza comportamentale
Il concetto fu sfiorato da Adam Smith che per primo parlò di sentimenti morali, descrivendo il comportamento psicologico individuale applicato ai sistemi economici; il tema fu poi approfondito da Jeremy Bentham, che iniziò a teorizzare l’Homo Economicus, soggetto improntato al reddito e all’efficienza. Ma è solo con gli anni ’60 che il cervello comincia a diventare oggetto di studio molto più trasversale e in quanto centrale della cognizione ma anche dell’archiviazione di ogni singola informazione; nasce finalmente la finanza comportamentale, ovvero l’atteggiamento di un soggetto applicato – per studi, carattere o influenze familiari – a un atteggiamento finanziario.
“Decision Making Under Risk”, l’arte della decisione sulla soglia del rischio, fu il trattato scritto nel 1979 da Daniel Kahneman e Amos Tversky ed è lo spartiacque che apre alla finanza comportamentale e allo studio degli individui e del loro atteggiamento di fronte ai mercati.
Teoria principale della finanza comportamentale
La teoria principale espressa da Kahneman e Tversky è la EMH, Efficient Market Hypothesis, che spiega come pur di fronte a una serie di anomalie, qualsiasi individuo avrà di fronte ai mercati e al loro sviluppo un atteggiamento riconducibile a quelli che sono i tratti del suo carattere, della sua educazione, dei suoi studi e della sua conoscenza.
Il concetto di rischio viene spesso affrontato accanto a quello di paura: secondo recenti studi l’ansia da prestazione di fronte a un’operazione di trade è di gran lunga superiore a quella che si prova di fronte a una potenziale relazione sentimentale. E la paura di perdere denaro è tre volte superiore alla gioia di un affare andato bene.
L’acquisto seriale e compulsivo su un mercato finanziario è da considerarsi rischioso quanto la ludopatia, la dipendenza dai giochi d’azzardo.
Tuttavia la finanza comportamentale, con i suoi modelli, ci offre strumenti interessanti e molto pratici: per esempio sintetizza in tre modelli comportamentali l’atteggiamento dell’Homo Economicus.
L’atteggiamento euristico è quello che dipende dalle proprie esperienze vissute e dunque dal ‘database’ del proprio portfolio mentale; l’inquadramento è invece quel tentativo di razionalizzare l’investimento sulla base di una convinzione ben precisa, influenzata da notizie, schemi o grafici. Ma c’è anche chi ragiona d’istinto e attacca quelle che sono le inefficienze del mercato che negli ultimi anni sono state estremamente frequenti: le cosiddette bolle, gli andamenti irrazionali di titoli o beni.
Gli ultimi anni sono stati di grande progresso per la finanza comportamentale e il suo studio: d’altronde il mondo finanziario è un ambito straordinariamente interessante sotto questo aspetto…
Avidità, paura, interessi personali e comuni: il nemico, dicono Kahneman e Tversky, con una tesi che fino a oggi non è ancora stata confutata, è l’irrazionalità che ci fa agire per troppa confidenza ma anche per paura. Ciò che bisogna combattere è l’anomalia, sia essa quella del mercato o quella del nostro atteggiamento che ci obbliga a seguirla in modo del tutto irrazionale.